SALOMÉ da Oscar Wilde / Giovanni Testori

Elaborazione drammaturgica Alberto Oliva e Mino Manni
Regia Alberto Oliva
con Mino Manni, Francesco Meola, Giovanna Rossi, Valentina Violo
Voce fuori campo Franco Branciaroli
Scene Alessandro Chiti
Costumi Lella Diaz
Movimenti Lara Guidetti
Costumi Atelier Brancato
Sound design Gabriele Cosmi
Luci Luca Lombardi
Assistente alla regia Valentina Sichetti

PRODUZIONE Teatro de Gli Incamminati
DEBUTTO Teatro Litta, Milano – 18 gennaio 2018

La lingua estrema, carnale di Giovanni Testori dà voce alle apocalittiche profezie di Iokanaan, mescolandosi e intrecciandosi con la limpida ed estetizzante poesia di Oscar Wilde, in un connubio travolgente.

La prima domanda che ci siamo fatti per mettere in scena questo grande testo è chi sia e che cosa rappresenti quello strano profeta che spaventa tutti i personaggi con i suoi misteriosi vaticini urlati dal fondo del nero pozzo in cui è tenuto rinchiuso. La risposta che abbiamo scelto di dare è che Iokanaan rappresenta l’inconscio, lo specchio di Narciso, l’immagine riflessa in cui ciascun personaggio vede riflessa la parte sconosciuta di se stesso. Quella che fa paura, perché dice la verità sulle proprie debolezze e perversioni. Ascoltare quella voce significa, dunque, fare i conti con il proprio lato oscuro, che destabilizza, ma anche rendere liberi, come accade a Salomè, che si lascia travolgere dalla scoperta del proprio istinto e sensualità. Per questo il profeta non si vede mai in scena, è solo voce senza corpo, con l’aspetto che l’inconscio di ciascuno vuole immaginare.

All’inizio c’è la proposta di Erode, un re che vuole divertirsi e abusare della sua posizione e della sua sconfinata ricchezza: “Salomè, danza per me, in cambio avrai quello che vuoi”.

Alla fine c’è, inatteso e perturbante, il responso di Salomè: “Voglio la testa di Iokanaan”.

In mezzo c’è il tempo della danza, della vittoria dei sensi, della perdita del controllo, dell’ebbrezza dionisiaca di chi si lascia andare al godimento più puro senza badare alle conseguenze del proprio gesto.

Salomè è il Male sotto forma di Incanto, è un’opera torbida ed estrema, che ci porta a riflettere su quello che siamo disposti a perdere per un momento di piacere: la tentazione, l’abbandono, l’attrazione del baratro. La danza sospende il tempo, lo congela in una lunghissima pausa, dopo la quale accadrà qualcosa di violento, inevitabile, tremendo. Il mondo perde qualcosa ogni volta che i potenti si concedono l’ebbrezza dell’irrazionale. La danza di Salomè è come la pallina della roulette, che gira e ipnotizza il giocatore, questa volta il re Erode, un uomo potentissimo e lussurioso, incapace di porre un freno ai suoi desideri, proprio come un ludopatico. Si gioca per giocare, non importa se si vince o se si perde.

Salomè è un dramma di ciechi che vogliono vedere, è un dramma di visioni proibite, di sguardi rubati.

OLIVA “RILEGGE” LA “SALOMÉ” DI OSCAR WILDE

“Il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte”, scrive Oscar Wilde nella sua opera. In quelle parole si trova la premessa drammatica e insieme il tema fondante dello spettacolo di Oliva. In una messa in scena che predilige la carnalità degli attori-personaggi.

Guglielmo Eckert – opinione.it

 

SALOMÈ DI WILDE/TESTORI. L’INCUBO E LA BELLEZZA

Nel complesso quella di Oliva è una pièce coraggiosa, foriera di inquietudini che le luci di Luca Lombardi, la scenografia di Alessandro Chiti e la voce fuori campo di Franco Branciaroli contribuiscono a creare. Una suggestione immaginata e cercata come una luna nel pozzo dell’anima.

Claudio Elli – puntoelineamagazine.it

 

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